IL PIANO APERTO by Carlo Doglio

IL PIANO APERTO by Carlo Doglio

autore:Carlo Doglio [Doglio, Carlo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Eleuthera
pubblicato: 2021-10-24T21:00:00+00:00


La composizione seriale. È possibile dar per ineluttabili attività terziarie a grande scala, senza che ne derivi una congruente struttura della città, del territorio, della vita associata? Sembra evidente che, in tale caso, si ammette che la vita all’interno dei quartieri non è autosufficiente, che c’è invece bisogno di un respiro maggiore, e che la città – anzi, la metropoli, che qui traspare – vive ed esiste solo nel momento in cui appaiono codeste strutture terziarie a grande scala. Ammettere tutto ciò significa rinunciare a mettere in discussione se codesto sviluppo sia giusto o meno (ma già! giudizi di valore, che valgon qui?).

Ma anche, sicuramente, rinuncia a un dibattito estetico: si mutuano dall’esterno certe forme, e le si mena per buone scadendo nello stereotipo – l’ambito proprio dell’architettura non sovviene né tramuta, ma subisce e rigurgita tristi giochi formalistici.

Io sono persuaso che siccome l’economia e la politica hanno fatto fallimento da molti anni, una tra le poche vie d’uscita per la rielaborazione dei modi di intervenire nella società, di riviverla e ricrearla, stia nella pianificazione fisica, nella pianificazione territoriale, nella progettazione di cui gli architetti sono il momento davvero creativo. È finito il tempo dell’architetto-rivestitore inerme di contenuti a lui alieni: è il tempo della scelta.

Nessuno vuole tornare alla città medioevale. Bensì a una dislocazione sul territorio di una serie di fatti che chiameremo «città-comprensorio», o comunque si preferisca. Bisogna evitare, per esempio, che come accade nel pim, nel Piano Intercomunale Milanese, Milano invece di sciogliersi nel territorio – e liberarlo, con la sua cultura di città, dall’essere mera merce – ancora più campisca e domini, motore immobile-distributivo.

È ben vero che oggi molti studiosi concordano sullo scioglimento della città tradizionale nel territorio, ma asseverando che essa permanga l’agglomerato fondamentale dell’attività terziaria (l’unica cui si prevede futuro) a grande scala. Non è possibile ipotizzare che uno studio di carattere territoriale ci indichi che codeste attività non possono conglomerarsi in quello che è tradizionalmente il centro urbano (nelle sue vesti odierne di centro direzionale), ma che l’attività terziaria a grande scala, se proprio ci si tiene, sia il risultato di una rete di comunicazioni che correlano e fanno cosa distinta e unica di punti distanti nel territorio, sicché la città-comprensorio è fatta di tante città, nessuna delle quali ubicata «in qualche luogo» bensì «in nessun luogo», risultante da una serie di linee?

E questo ha il vantaggio, fondamentale anche per la salvezza del territorio, di battere quel gigantismo che sembra contraddistinguere in modi sempre più palesi (formalizzati) il nostro pseudo-sviluppo.

Cominciamo a usare una composizione seriale: niente dominanti, sono tanti «unici», tante individualità ma collegate fra loro: nel gioco dei loro collegamenti può nascere qualcosa di diverso da ciò che si vede di solito. Può nascere, e può non nascere: non è per niente vero che il getto dei dadi «non torna», e comunque non saranno mai i calcolatori a decidere il destino dell’uomo.



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